Ruffilli, Paolo

oeta, narratore e saggista, Paolo Ruffilli è una delle punte della poesia italiana contemporanea. Nato a Rieti nel 1949, ma originario di Forlì, si è laureato in Lettere presso l’Università di Bologna. Dopo alcuni anni trascorsi insegnando nei licei di Treviso (dove vive), ha in seguito abbandonato il lavoro di docente per dedicarsi a tempo pieno alla sua attività, in veste di saggista, traduttore, consulente e direttore editoriale, e collaboratore di quotidiani quali «Il Resto del Carlino», «Il Giorno», «La Nazione» e «Il Gazzettino».

Accanto al suo lavoro di critico c’è la produzione letteraria, che consiste in diverse raccolte di poesie edite per i tipi della Forum, della Garzanti, Amadeus, Vianello e Marsilio Editori.

Sin dagli esordi Paolo Ruffilli ha fatto parlare di sé in termini lusinghieri, tant’è che un Premio Nobel per la letteratura, lo scomparso Eugenio Montale, durante una trasmissione radiofonica della RAI nel 1977 (quattro anni prima della sua morte) disse in proposito: «… un giovane poeta che desidero segnalare per il suo indubbio talento, Paolo Ruffilli». E concludeva dicendo: «… per il futuro ci riserverà qualche piacevole sorpresa.»

All’epoca il giovane Ruffilli, poco più che ventottenne, aveva fino ad allora dato alle stampe: La Quercia delle Gazze (Forum, Forlì, 1972, 2 ed. 1974), Quattro quarti di luna (sempre per la Forum, 1974, 2 ed. 1976) e Notizie dalle Esperidi (1976), e proprio a quest’ultima antologia pubblicata dalla piccola casa editrice di Forlì si riferiva Montale, sottolineando come il poeta non solo avesse fatta sua la lezione leopardiana («maestro nell’indicare servendosi del vuoto»), ma utilizzasse magistralmente strumenti linguistici quali l’ellissi e l’omissione. Fu subito palese come i tratti precipui della poetica della giovane promessa fossero la concisione e la verticalità del verso.

Previsione quella di Montale dettata sì dalla indubbia competenza, dall’intuito, dalla sensibilità e dall’esperienza personali, ma che fu in ogni caso di ottimo auspicio, perché a conferma di ciò Ruffilli non tardò ad onorarla nel 1987, vincendo l’American Poetry Prize con la raccolta Piccola Colazione, edita per la Garzanti. Ma fu nel 1990 che Ruffilli confermò in pieno le profetiche parole dello scomparso maestro ligure, aggiudicandosi proprio il prestigioso premio letterario intitolato alla sua memoria: il Premio Montale, vinto nel 1990 con il volume Diario di Normandia, uscito per i tipi della Amadeus di Montebelluna (TV).

I successivi lavori poetici sono Camera Oscura (Garzanti, Milano, 1992; 3 ed. 1996) e Nuvole (con foto di Roiter, Vianello, Ponzano, 1995). Recentemente, nel 2001, è uscito un diario poetico intitolato La gioia e il lutto, per la Marsilio Editori di Venezia, con il quale Ruffilli ha vinto nell’ottobre 2002 il Premio Letterario Internazionale Città dell’Aquila e il Prix Européen. Il volume, oramai giunto alla terza edizione, costituisce un angoscioso e catartico viaggio verso la morte compiuto, fra tremende sofferenze sia fisiche sia psicologiche, da un giovane malato terminale di AIDS. Ad assisterlo spiritualmente al suo capezzale, in un dialogo poetico struggente e colmo di rimorsi e rimpianti, il padre, che solo di fronte alla consunzione, ad una morte che lo stesso Ruffilli in un’intervista pubblicata nello spazio culturale del sito web del Comune di Cremona, definisce «gradualmente distruttiva, mortificante al massimo grado rispetto alla vita.», finalmente comprende quanti e quali errori abbia commesso in vita nell’educare il figlio, storpiandone i sogni e restringendone gli orizzonti, convinto di fare il suo bene, ma di fatto perdendolo per sempre ancor prima che il virus lo colpisse, occludendogli pian piano l’animo con azioni costrittive, sentenze, prediche e vuote parole, spogliate del loro significato più autentico, rifiutandosi e talvolta dimenticandosi d’ascoltarne l’io più vero. Dietro a quest’opera, come lo stesso poeta ha confessato, vi è non solo la predilezione tematica dell’autore per uno degli ultimi tabù della società occidentale, la morte, ma anche dolorose esperienze autobiografiche trasfigurate nei versi, in quanto egli stesso nel corso degli anni ha perduto diversi amici piegati e spezzati dalla terribile malattia. E lo stesso Ruffilli, che ha coraggiosamente affrontato il tema della morte, ne ha fatta una diretta esperienza vent’anni fa (nel 1983), rischiando di annegare. Fu riportato in vita quasi miracolosamente e il terribile episodio lo segnò profondamente, al tal punto da rivoluzionare il suo approccio alla vita ed alla letteratura stessa, svelandogli una realtà sorprendente, celata all’uomo comune, ma latente in ognuno di noi (giova ricordare che secondo gli antichi orientali la realtà delle cose è maya, illusione).

Ma se Ruffilli è un valido esponente della poesia italiana, altrettanto valido e cospicuo è il suo apporto alla saggistica. Affascinato dalla letteratura asiatica, profondo conoscitore della tradizione sapienziale e filosofica orientale e del concetto del Tao, Ruffilli ha tradotto dall’inglese all’italiano il celebre Il profeta, del libanese Gibran (San Paolo, Cinisello Balsamo, 1989), il Gitanjali del premio Nobel indiano Tagore (sempre per la San Paolo, 1993) e La regola celeste del Tao (Rizzoli, Milano, 2003).

Egli inoltre negli ultimi anni ha tradotto e curato l’edizione de La Musa Celeste: un secolo di poesia inglese da Shakespeare a Milton (San Paolo Editore, 1999): un’antologia di poesie scelte fra quelle più rappresentative dei maggiori poeti anglosassoni del XVI e del XVII secolo (da Southwell a Spenser, da Donne a Herrick e Herbert). Una raccolta di poesie accompagnate da brevi note biografiche e critiche, presentate in traduzioni inedite che danno una chiara panoramica della migliore poesia metafisica del tempo; poeti metafisici che con il loro genio hanno ben espresso «l’attonita contemplazione della vita che sfugge e insieme la lucida percezione che inadeguato è il sapere umano, illusoria la ricchezza, fatale e precoce il destino di morte.»

Nel campo della saggistica italiana, Ruffilli è autore di due biografie: Vita di Ippolito Nievo (Camunia, Milano,1991), e Vita, amori e meraviglie del Signor Carlo Goldoni (Camunia, Milano, 1993).

Fra le numerose opere di cui è stato curatore ricordiamo le Operette morali di Giacomo Leopardi (Garzanti, Milano, 1984), le Confessioni d’un italiano di Ippolito Nievo (Garzanti, Milano, 1984), Tempi difficili di Charles Dickens (Rizzoli, Milano, 1990) ed il celebre Cime tempestose di Emily Brontë (Garzanti, Milano, 1996).

Per quanto riguarda i contenuti di Ruffilli poeta e scrittore, fondamentale è il diverso rapporto con la memoria. Leggiamo infatti nell’intervista all’autore a cura di Maria Antonietta Trupia: «Nove decimi della poesia sono stati elegiaci e fondati su questo meccanismo. Per me non è più così, in quanto ciò che è trascorso non è sentito come al di fuori, ma dentro ciascuno di noi. Il nostro passato è, quindi, quello che siamo. Nella mia poesia non c’è elegia perché non c’è nostalgia del passato […] è un rapporto con l’io più profondo.»

Lo stile poetico di Paolo Ruffilli, come detto sopra, segue la legge dell’inversamente proporzionale, cioè il meccanismo del dire con poche parole il molto. È l’arte del levare. L’estrema sintesi. E della originalità ed efficacia del produrre versi di Ruffilli hanno in passato parlato più volte non solo i maggiori quotidiani nazionali italiani, ma anche il «Times», «Le Monde», il «Die Welte», il «Frankfurter Allgemeine». Il critico Luciano Benini Sforza, ne I Quaderni del Battello Ebbro, ha parlato di Ruffilli come di «una delle voci più intimamente leopardiane nella nuova poesia italiana», mentre Roland Barthes, nell’editoriale di Camera oscura (Garzanti, 1992), sottolinea come il nostro sia un vero maestro «nell’angosciare il lettore, incantandolo». Ciò che canta Ruffilli sono i vuoti, le crudeltà, certe follie «galleggianti oltre il decoro e la discrezione». In parole povere il terrificante orrore dell’inferno borghese, comune nell’esperienza quotidiana. In conclusione, dice Barthes, non si può «non concordare con l’autore sulla natura tragica» della vita.

Il 2003 segna l'esordio dell'autore in un'opera narrativa, seppur frammentaria, come una raccolta di racconti. Inconsueti personaggi, indaffarati in Preparativi per la partenza popolano le vicende raccontate da Paolo Ruffilli e si muovono alacremente in un “tripudio di vita”. Partenza che metaforicamente esprime lo “spettro della morte”, ma anche partenza. come sinonimo di "rinascita", viaggiatori instancabili oltre i confini del proprio io, nella perdita di sé per potersi ritrovare…

Ruffilli, che attualmente è direttore editoriale de Le Edizioni del Leone, non è poeta distante dal pubblico e dai suoi umori. Invece di rinchiudersi nella classica torre d’avorio, egli da diversi anni tiene, un po’ dappertutto nel Veneto, corsi di scrittura creativa sia di prosa sia di poesia, con i quali si è posto l’obiettivo di stimolare il lettore italiano a partecipare attivamente alla produzione e alla celebrazione della poesia e della narrativa in genere, sull’esempio degli Stati Uniti, dei Paesi slavi e latinoamericani, dove da sempre l’incontro fra il pubblico e l’autore è vissuto intensamente da folle entusiaste (anche di alcune migliaia di persone). Ecco nascere i reading, serate di lettura di prosa e poesia aperte a tutti, ad ingresso libero, durante le quali i suoi allievi si confrontano con se stessi e con i propri compagni, e che contribuiscono così alla creazione di un rapporto più diretto fra autori e fruitori della letteratura. Un approccio, quello di Ruffilli, sui generis nel desolante panorama nazionale italiano in cui la poesia è ancora vissuta come un qualcosa di puramente accademico, prodotto, diffuso e studiato soltanto nelle università, venendo così a tarpare le ali ad uno degli strumenti più meravigliosi con i quali il popolo ha da secoli imparato ad esprimere le proprie emozioni e pensieri.

Milano, 14 maggio 2003

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