La planetarizzazione: il nucleo spoliticizzato della globalizzazione

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La planetarizzazione: il nucleo spoliticizzato della globalizzazione

Dal mondo disincantato al mondo reincantato?

Max Weber ha elaborato, nelle sue riflessioni sociologiche sulla modernità industriale, il concetto di entzauberte Welt, di mondo disincantato, totalmente secolarizzato, ripulito dei poteri magici, delle forze sopranaturali e in generale di ogni mistero. Tutti i dei sono stati cacciati dai loro nascondigli nel mondo. Il concetto di “mondo disincantato” divide solamente un fragile ed incerto confine da quello di “nichilismo”, considerato dai nemici della modernità come l’essenza nascosta dell’era del moderno. Tutte le crisi della modernità non sono, ai loro occhi, se non le conseguenze del nichilismo, della relativizzazione di tutti i valori, del rifiuto del sacro che è costitutivo della modernità.

La forma più rilevante del mondo disincantato è oggi l’immagine del pianeta Terra scattata a quattro miliardi di miglia da un’ astronave. Al Gore si richiama ad essa nel film di David Guggenheim “The Inconvenient Truth” esortando tutta l’umanità a far fronte al riscaldamento globale. La Terra “con tutte le infamie e i trionfi dell’umanità” dice Al Gore non è che un piccolo puntino perso nell’infinità dello spazio cosmico, la cui immensità non è commisurabile con il senso che l’umanità, divisa in tribù, nazioni, blocchi ideologici e civiltà, è riuscita a dare alle sue guerre, ai massacri di milioni di esseri viventi in nome di questa o di quella verità tribale, nazionale, etnica, ideologica, scientifica.

E’ difficile accettare il mondo disincantato nella sua fredda e tecno-logica razionalità strumentale. Cresce, di conseguenza, la domanda di massa di un mondo reincantato. Quali sono le forme che questo mondo reincantato avrà nel futuro? E’ difficile accettare il mondo disincantato nella sua fredda e tecno-logica razionalità strumentale. Cresce, di conseguenza, la domanda di massa di un mondo reincantato. Quali sono le forme che questo mondo reincantato avrà nel futuro? Dobbiamo interpretare come una risposta alla domanda dei mondi reincantati ad esempio il successo del movimento chiamato “Second Life” che permette ad ogni uomo connesso a Internet crearsi un avatar e vivere in rete una seconda vita, diversa da quella magari frustrante, vissuta effettivamente?

In ogni caso una risposta alla domanda di mondi reincantati sono i fondamentalismi odierni sia quello musulmano sia quello dei neocons rappresentato dall’amministrazione Bush o quello dei gruppi giovanili antagonisti. Il reincanto del mondo è la via facile al superamento dell’ansia che il mondo disincantato suscita, particolarmente nella sua versione radicale che è la incommensurabilità dello spazio cosmico che ci fanno esperire le foto usate da Al Gore come argomenti per una radicale trasformazione dell’egemonia politica nel mondo.

Nel film “The Inconvenient Truth” Al Gore riflette anche sulla prima foto della Terra presa dallo spazio cosmico che fu scattata a Natale 1968 dai partecipanti alla missione Apollo 8. Egli dice che questa immagine “esplose nella coscienza dell’umanità” e segnò “l’Alba della Terra”, ovvero l’alba di una nuova relazione tra il genere umano e il pianeta Terra la cui conseguenza politica più rilevante è la nascita del movimento ambientalista. Commentando poi nel finale del film egli dice che “quel puntino sperduto nel cosmo è l’unica casa che abbiamo ed è questa ad essere in gioco”, per cui, sostiene, bisogna “usare i processi politici della democrazia” per politicizzare l’esperienza del distacco cosmico dalla Terra che la tecnologia ci ha costretto a fare. Che cosa vuole dire politicizzare questa prospettiva sulla Terra?

E’ in questo contesto che voglio situare la mia riflessione sulla “planetarizazione come nucleo spoliticizzato della globalizzazione”.

In primo luogo tra il concetto di mondo disincantato e la sua versione moderna formulata dal biologo Monod o dallo stesso Gore e quello di nichilismo vi è un confine fragile e incerto. In secondo luogo la parola tuttofare “globalizzazione” ha uno zoccolo duro che non è possibile sciogliere nella fanghiglia mediatica riducendola alla necessità di rendere tutti i fattori produttivi flessibili; e questo zoccolo duro è appunto la planetarizzazione come problema politico.

Il nichilismo: i valori sono favole

Parliamo prima del nichilismo e dunque di Nietzsche. Questo profeta del nichilismo secondo la vulgata mediatica predominante è significativamente il primo filosofo citato, per metterci in guardia contro il suo pensiero naturalmente, dal Papa Ratzinger nella sua enciclica Deus charitas est. Il “nichilismo” vi viene interpretato – ed è tipico per la Chiesa cattolica – come una estrema minaccia contro “ciò che è proprio degli europei”; lottare con tutte le proprie forze contro questa minaccia è il dovere supremo dell’Occidente. Questa però è un’interpretazione distorta della celebre profezia di Nietzsche sull’avvento del nichilismo in Occidente.

Nella visione di Nietzsche il nichilismo non significa semplicemente una perdita o Il nichilismo, qissoluzione, o ancora negazione violenta, dei valori del passato e della fede metafisica nella realtà, come leggiamo invece nel dizionario Devoto della lingua italiana alla voce “nichilismo”: “posizione filosofica relativa alla radicale svalutazione o all'annullamento della realtà o di un aspetto di questa.” Il nichilismo non è per Nietzsche una negazione dei valori dell’Occidente, bensì un inveramento di questi valori, una loro attuazione: il nichilismo realizza il più alto dei valori dell’Occidente, l’impegno morale di far valere la verità contro ogni altra istanza, l’impegno di sfidare le favole cui la gente si affida per rendere la vita sopportabile.

Il nichilismo, questo imperscrutabile, ingombrante e più spaventoso degli ospiti che non vuole più lasciarci, come lo chiama Nietzsche, è in realtà un ospite invitato: la ricerca della verità fu interpretata in Occidente come valore morale e questo ci impone di respingere – in nome della verità - le favole che ci raccontiamo per dare un senso alla nostra vita. I valori sono legittimati dalle favole, sono delle favole - tutti i valori, non solamente quelli degli “altri”, dei popoli “meno evoluti”, le cui religioni e definizioni della realtà erano “favole” agli occhi dei gesuiti o dei colonialisti illuminati.

In Occidente la verità fu inclusa tra i valori morali, per cui abbiamo un dovere morale di respingere le favole da cui deriviamo il senso della vita: l’umanità europea si sente moralmente obbligata a distinguere tra ciò che è mera favola e ciò che è valore vero. Così la verità come valore morale si rivolge contro gli altri valori o come “valori in generale”, contro la forza consolatoria delle favole che ci permettono di far fronte alla morte e la paura, particolarmente contro il cristianesimo. Per Nietzsche dunque il nichilismo è la conseguenza della morale occidentale che include tra i suoi valori più alti quello della ricerca della verità. Nella sua visione l’uomo moderno è uomo tormentato dalla “crisi di senso permanente” che deve ancora imparare a superare la nostalgia delle favole, particolarmente la nostalgia del cristianesimo. E questo vuole dire evitare la via facile al superamento della crisi di senso che è quella del ritorno alle vecchie favole. Chiameremo questa via d’uscita facile dal nichilismo “dal mondo disincantato al mondo re-incantato”. Per riuscire ad evitare questa via facile, l’uomo moderno deve però diventare un Űbermensch , un “oltreuomo”, un uomo liberato dalla nostalgia delle favole.

La negazione dei falsi valori, della religione, delle “favole che la gente si racconta per dare un senso alla propria vita” , non è dunque un gesto cinico o determinato dall’odio verso i valori altrui; al contrario, il nichilismo è la conseguenza morale del valore attribuito in Europa alla ricerca della verità. Il nichilismo invade l’Europa nel momento in cui non solamente le culture inferiori, primitive, selvagge, ma anche la cultura occidentale viene trattata come una favola.

Nietzsche riassume la genesi del nichilismo in Europa in questo modo:

“Tra le forze che la morale ha coltivato, vi era anche la ricerca della verità: e questa infine si rivolge contro la morale, denuncia la sua teleologia, la partigianeria del suo modo di giudicare – e ora l’effetto di questo disvelamento della menzogna che l’uomo non riesce a scrollarsi d’addosso è che stimola al nichilismo. Scopriamo ancora dentro di noi i bisogni che ci sono stati trasmessi dall’interpretazione morale del mondo durata per millenni, ma questi ora ci sembrano i bisogni della menzogna. D’altra parte però sono proprio questi bisogni che sembrano essere i portatori dei valori, per i quali vale la pena di vivere. E’ questa contraddizione a mettere in moto il processo di dissoluzione dei valori: a quello che conosciamo non sappiamo dare un valore e a quello che vorremo raccontarci ormai ci è vietato di dare un valore”.

Il valore che noi occidentali attribuiamo alla rivolta contro le favole in nome della verità storica, contro i mondi incantati, è incarnato nella neutralità dello Stato nei confronti della religione. Questa non è infatti che una conseguenza del valore morale che abbiamo riconosciuto in Occidente alla libertà di ogni individuo di cercare la verità; di conseguenza, non è ammissibile che lo Stato sia fondato sulle favole di chichessia – lo Stato è neutrale verso tutte le favole.

Secondo Nietzsche dunque la caratteristica decisiva dell’Occidente moderno sta in questo: la verità è stata inclusa tra i valori morali e questo vuol dire che noi abbiamo il dovere in aggirabile di conoscere, di scoprire, di denunciare i valori che sono solamente delle favole. Gli uomini moderni si sono così vietati di credere nella favole, nei miti e racconti e questo in nome della morale basata sulla ricerca della verità; ma i valori per i quali vale la pena di vivere, per i quali ci impegniamo sono solo delle favole, non sono veri nel senso di poter resistere all’esame critico di chi considera la conoscenza scientifica un suo dovere morale.

Quali sono le conseguenze esistenziali del fatto che gli uomini moderni “non sanno dare alcun valore a ciò che conoscono in virtù della scienza e in ciò, cui sanno dare un valore, nelle favole, si sono vietati di credere”? La conseguenza è il nichilismo, la disperazione, il deficit di senso che penetra tutta la società occidentale e da qui invade il mondo - e la modernità non sa porvi alcun rimedio.

Il problema formulato da Nietzsche ha una versione più moderna, quella proposta da negli anni Settanta Jacques Monod, premio Nobel per la biologia, nel suo influente bestseller “Il caso e la necessità”. Egli vi afferma che tutta la cultura umana è “animistica” nel senso che in essa predomina il pregiudizio, secondo cui la Natura appartiene alla storia degli uomini – è stata fatta per loro, ivi incluso quella immensità dello spazio cosmico, nel quale la foto presa dall’astronave proietta la Terra. Il messaggio della scienza è al contrario che la vita è contingente, senza un senso da scoprire semmai solamente da inventare: noi vogliamo rendere necessaria la nostra esistenza, integrare la Natura nella favola delle favole che è la storia dell’Umanità, mentre il sapere scientifico dissolve il senso di sicurezza che emanano dimostrando la non-necessità dell’umanità, la sua irrimediabile “contingenza”. Ma non è la scienza stessa una favola?

Il problema di Monod ci fa pensare, a sua volta, all’idea di demitizzazione, al tentativo di liberare il cristianesimo dalla forma di religione, legato al nome di Dietrich Bonhoeffer. Egli distingue anzitutto tra la religione e il cristianesimo: la religione è una fuga dalla condizione umana, dalla mortalità e dall’ignoranza, dalla contingenza di cui parla Monod, è un salto nell’animismo rassicurante. I rappresentanti della religione prima costringono l’uomo nell’angolo, l’intimidiscono, illustrandogli la sua debolezza, mortalità, incertezza e poi gli offrono una via di salvezza – la conversione alla favola! La secolarizzazione agli occhi dei teologi della demitizzazione, indica un’epoca in cui l’uomo accetta la sua condizione nel mondo: ai propagandisti delle religioni risponde “sì, so che sono mortale, ignorante, contingente, ma accetto questa situazione, so di essere solo una canna nel cosmo, l’accetto - il cristianesimo deve persuadermi senza promettermi un altro mondo.

La religione oggi assume forme nuove – consumismo, la promessa della crescita economica illimitata, la società dello spettacolo, in Italia le Veline come ideale di esistenza ecc.. Tutto questo enorme apparato di distrazione di massa che genera nuovi spazi di fuga dalla struttura dell’esistenza produce nuove forme di religione.

I conservatori di oggi ci offrono un’uscita facile da questo mondo disincantato – è quella dei neocons americani e del papa Ratzinger. “Difendiamo le nostre favole senza alcuna remora, difendiamo la favola della creazione contro Darwin, sosteniamo con nuova innocenza che i nostri valori ci sono stati comunicati direttamente da Dio!” ci consigliano. La svolta incarnata dai neocons di Bush consiste in un tentativo di (ri)espellere la ricerca della verità dalla tavola dei valori e poi reincantare il mondo. La svolta di Bush è proprio questa, la promessa di un mondo reincantato come fonte di legittimità politica.

Possiamo però praticare questa fuga nel mondo re-incantato con innocenza, senza rimorsi di coscienza? Non ci obbligano i nostri valori europei a preferire piuttosto il nichilismo, questo ospite che è sì ingombrante, ma anche coerente con il valore morale che abbiamo attribuito alla verità?

Fermiamo un punto: la relativizzazione dei valori denunciata dal papa Ratzinger è un’esperienza positiva perché in essa è implicito il riconoscimento che tutti i valori sono delle favole; quelle che sono chiuse all’esperienza della demitizzazione, della secolarizzazione, della relativizzazione diventano favole assassine.

Ancora sul pianeta Terra

Sulla stessa immagine di cui parla Al Gore ha riflettuto decenni prima il filosofo che ha rivoluzionato la nostra interpretazione dei media elettronici - Marshall McLuhan. Egli ha scritto: “Dopo aver orbitato intorno alla Luna nel dicembre del 1968, gli astronauti dell’Apollo installarono una telecamera puntandola sulla Terra. Di riflesso l’impatto su noi spettatori fu enorme. Eravamo, per così dire, dentro e fuori allo stesso tempo. Eravamo sulla terra e sulla Luna contemporaneamente. Fu la nostra percezione individuale di quell’evento a dargli significato… La vera azione nell’evento non era sulla Terra o sulla Luna, ma piuttosto nel vuoto asettico, ovvero nel gioco tra la ruota e l’asse. Eravamo appena diventati consapevoli dell’esistenza fisica separata di questi due mondi, ed eravamo disposti, dopo un certo shock iniziale, ad accettare entrambi gli ambienti come possibili per l’uomo” (1989, 22).

I poeti latini, epicurei anzitutto, credevano che tra i mondi esistesse uno spazio vuoto dove soffiano i venti freddi e dove vanno a riposare solamente i dei. Li chiamavano “intermundia”. La foto della Terra di cui parla Al Gore nel film “The Inconvenient Truth” ci ha precipitati in uno spazio tra i mondi, in un “intermundium”.

La formula più celebre di McLuhan è la formula “il medium è il messaggio”, lanciata negli anni Sessanta. Essa significa che il messaggio più importante di un medium o di una tecnologia consiste nel “mutamento di proporzioni, di ritmo o di schemi che introduce nei rapporti umani nella società intera”. Il messaggio dell’energia elettrica ad esempio è che la capacità dei fattori di tempo e di spazio di creare nella società umana distinzioni, differenze, sospensioni è fortemente diminuita, lo spazio e il tempo vengono compressi, si forma una compresenza degli spazi e dei tempi; è lo stesso messaggio che ci trasmette la radio, il telegrafo, il telefono, la TV, e oggi anzitutto Internet.

Chiamo “planetarizzazione” il messaggio contenuto nell’immagine della Terra scattata nello spazio cosmico, il fatto cioè che siamo diventati contemporaneamente abitanti della Terra e stranieri sulla Terra. Esiste un modo per rappresentare politicamente questa nuova condizione della umanità? Quali nuove solidarietà rende possibili, quali decisioni politiche rende necessarie, quali urgenze introduce?

Tetradi di McLuhan

Per capire i media come messaggi McLuhan ha elaborato una metodologia che chiamò “tetradi”. Si tratta di quattro domande che costituiscono una vera teoria ermeneutica secondo la quale per comprendere un medium (un’idea, uno stile di vita, un oggetto), dobbiamo cercare le risposte a queste quattro domande:

che cosa quel medium (idea, stile di vita o artefatto)

(i) intensifica ovvero potenzia, amplifica, moltiplica e fa espandere (intensificazione);

(ii) che cosa rende arcaico, ovvero superato, smesso, passato (obsolescenza);

(iii) che cosa attualizza, ovvero che cosa risveglia alla nuova vita, che cosa rende di

nuovo attuale del passato (riscoperta);

(iv) in che cosa, infine, s'inverte o si trasforma sotto la resistenza dell'ambiente (inversione).

Ogni medium (idea, concetto o stile di vita) può essere considerato come una figura che si staglia visibile su uno sfondo oscurato. La figura s’impone, richiede l'attenzione, ci affascina, ci apre un campo di possibilità che ci attraggono; la figura illuminata lascia in ombra lo sfondo, fatto di tutto quello vi era prima di essa e che ora resiste alla sua energia di penetrazione e di imposizione. Il peso dello sfondo alla fine preme sulla figura trasformandola in qualche cosa di diverso rispetto a quello che sembrava d'essere all'inizio. McLuhan concepisce i processi di intensificazione e di attualizzazione come figure che catturano la nostra attenzione, mentre i processi di arcaizzazione e di inversione sono manifestazioni del peso dello sfondo che trasforma la figura. Comprendere presuppone "vedere", sia la figura illuminata sia lo sfondo oscurato che alla lunga ridimensiona la figura.

Prendiamo ad esempio la macchina da scrivere. Su una pubblicità della Underwood degli anni Trenta vediamo una ragazza sorridente, china sopra la tastiera della macchina pronta a moltiplicare le parole del suo elegante capo, mentre dalla finestra vediamo svettare i grattacieli di New York City.

Leggiamo la macchina da scrivere come messaggio! Essa (i) moltiplica i testi, i documenti che raccolgono di quanto fu detto e intensifica l’uniformità della scrittura (intensificazione); (ii) attualizza la superiorità del creatore sul copiatore, del capo sulla dattilografa, dell’originale sulla copia, dell'uomo – dettatore sulla donna – riproduttrice del dettato (riscoperta); (iii) rende arcaico l'uomo - scribo, la calligrafia, i manoscritti (obsolescenza); e si inverte infine nella burocrazia, nei fascicoli, nel Processo di Kafka, nelle pagine di documentazione accatastate negli scantinati, nell’ossessione cartacea della burocrazia (inversione). La macchina da scrivere fu anche il più efficace strumento di emancipazione delle masse femminili nelle metropoli industriali, anche se dapprima sembrava solo una forma ammodernata della discriminazione - la donna confinata a moltiplicare le parole dell'uomo-capo con la speranza segreta di farsi sposare “dal capo”.

New York che fa capolino dietro la finestra nella immagine pubblicitaria in questione è anch’esso un medium, quello dell'urbanità moderna, è il "signal of modern transcendence", dove, come dice Woody Allen, solo due forme di preoccupazione per il futuro sono reali "fino a che ora è aperto" e "come ci si arriva". L'urbanità radicale di N.Y. City è dal canto suo l'inversione dell'ascensore, il quale intensifica la verticalità, rende arcaiche le scale, attualizza (fa riscoprire) le gerarchie, le scale sociali, la differenza tra i piani più alti dove il capo detta alla dattilografa e quei più bassi dove sta il portinaio o il proverbiale ragioniere italiano Fantozzi.

La planetarizzazione: partendo dalle tetradi

La filosofia contemporanea interpreta l’impatto sui nostri mondi della vita del sorgere dell'ambiente tecnologico all’incirca attraverso questa tetrade: la tecnologia intensifica la libertà di scelta, emancipa l'uomo dalla scarsità, dalle limitazioni storiche e biologiche, rende arcaiche le stagioni, i tempi lenti della maturazione e della formazione delle forme viventi sottomettendole alla accelerazione programmata, attualizza o ci fa riscoprire il mito dell'età d'oro, dell'abbondanza, della crescita illimitata della possibilità di scegliere; l’inversione della civiltà tecnica è l'ambiente artificiale tecnologico, che minaccia l'uomo molto più radicalmente di quanto mai lo minacciassero "gli elementi scatenati della natura".

La globalizzazione radicalizza queste vecchie questioni. Ecco la tetrade radicalizzata:

(i) l’intensificazione della razionalità strumentale, ovvero la crescita vertiginosa dell’efficienza dei mezzi tecnici, l’estensione e l’amplificazione “sconfinata” del loro impatto sugli altri uomini e sull’ambiente naturale;

(ii) gli strumenti sempre più efficienti nel farci raggiungere i nostri scopi, rendono arcaici gli argomenti che usiamo per dare a questi strumenti un senso, ovvero i fini da raggiungere, i valori che dovrebbero legittimare l’uso di strumenti così enormi;

(iii) questa arcaicità dei valori che, a confronto con la razionalità tecnologica, sono solamente favole, attualizza o ci fa riscoprire la disputatio, la democrazia concepita come dialogo libero da dominio nello spazio pubblico illimitato, il simposion senza fine e aperto a tutti gli uomini della Terra; e questo per cercare, nella generale trasparenza della comunicazione libera e veritiera, i fini fondati su argomentazioni razionali sostanzialmente, non solo strumentalmente e perciò capaci di garantire un senso all’uso degli strumenti così potenti;

(iv) tutto questo si inverte in una società mondiale del rischio, dove la sostenibilità morale, sociale, biologica e politica di ciò che è tecnicamente fattibile, o i rischi legati alla complessità della società è un problema irrisolvibile.

Più in dettaglio possiamo dire che la planetarizzazione intensifica anzitutto la coscienza delle esternalità. Con questo termine indichiamo i costi o i benefici causati a un individuo A (o a un gruppo di individui a) dalle azioni intraprese da un individuo B (o da un gruppo di individui b), senza che il consenso dell’A (o degli appartenenti al gruppo a) sia necessario, affinché l’azione dell’individuo B (o del gruppo b) possa essere intrapresa legittimamente. Vale in generale che fino a quando una sola persona, colpita dalle conseguenze delle azioni di un’altra, è lasciata fuori del gruppo il cui consenso è necessario per poterle intraprendere, vi sarà un'esternalità (cf. Tullock 1970: 71). Da questa definizione consegue che l'economia planetarizzata è anzitutto un’economia delle negoziazioni sulle esternalità, dove la posta in gioco principale sono i costi del consenso che un attore A deve sostenere per rendere la sua azione legittima agli occhi di un attore B che ne subirà le conseguenze in termini di esternalità.

In una delle prefazioni al suo celebre libro The Ages of Gaia: A Biography of Our Living Earth James Lovelock scrive:

"Il concetto di sviluppo sostenibile offre un futuro triste a coloro che prendono dalla Terra più di quello che essa stessa può loro offrire. La mia ipotesi Gaia vuole mettere in guardia: se noi continueremo a prendere troppo dalla Terra condanniamo le generazioni future a portare un fardello tremendo, quello, cioè, di dover diventare custodi della Terra. Immaginiamo di dipendere dalle contrattazioni tra le frazioni e i gruppi in cui l'umanità oggi si divide, non solo per quanto ci nutre e la nostra casa, ma anche per ogni respiro dell'aria fresca, che finora ci spettava naturalmente come agli abitanti della Terra".

L´economia delle esternalità significa anzitutto questo nuovo “fardello” che gli uomini debbono prendere su di loro: sono diventati "custodi del pianeta Terra", per cui sono condannati a dover concludere i patti, efficientemente sanzionati, per garantire agli uomini sulla Terra non solo "l’aria respirabile" ma le condizioni ambientali compatibili con le loro possibilità di adattamento.

Una strana economia! Nel momento in cui nello spazio pubblico prevale l’immagine della Terra vista dall’astronave su tutte le vecchie immagini della Terra custodite dalle favole, dalle tradizioni, dalle ideologie si rende visibile lo sfondo oscurato della crescita illimitata dell´ambiente tecnologico. Questo sfondo oscurato è la fragilità della biosfera cui l’umanità appartiene”; di conseguenza il problema dell’impatto delle azioni umane su coloro – la maggioranza dell´umanità – che sono esclusi dal gruppo dei shareholders, di coloro cioè che hanno il diritto legale di decidere diventa il problema politico più urgente.

Una coscienza planetaria?

Al Gore dice nel film che quella immagine “esplose nella coscienza dell’umanità” - pochi mesi dopo nasce il movimento ambientalista internazionale. Infatti, la fragilità della vita che in conseguenza di quella immagine divenne un’esperienza di massa, genera una nuova solidarietà tra gli esseri viventi, ispirata all’idea di un’evidente interdipendenza tra il bios e il logos, tra tutte le forme di vita e il potere del calcolo razionale. La necessità di porre dei limiti alla crescita economica governata da un insaziabile “logos calcolante”, sordo ad ogni solidarietà, diviene una questione politica centrale. La solidarietà con tutti gli esseri viventi sul pianeta Terra è un imperativo categorico, implicito nella immagine della Terra presa dallo spazio cosmico. Un imperativo che rende arcaico il concetto di "bene privato", di “mercato”, di competizione/separazione tra le discipline. .La planetarizzazione ci precipita nell’era “E”, ovvero nell’era della congiunzione anziché disgiunzione, di cui parlava il pittore Kandinskij; nella era dell’inter-disciplinarità anziché della specializzazione, degli intermondi anziché di mondi, aggiungiamo.

L’immagine della Terra presa dall’astronave rende arcaico l'individualismo, la competizione per il profitto, la specializzazione ma attualizza il biocomunitarismo, la coscienza di appartenere alla “bio-comunità”, ad un’unica comunità di esseri viventi sulla Terra; attualizza anche il "bene pubblico", solo i "rational fools" di cui parla Amartya Sen potrebbero cercare di massimizzare il profitto privato a scapito di un bene così unico e così radicalmente comune che è il pianeta Terra.

L’universalismo cosmpolita del Ventesimo secolo postulava che tra il locale e il mondiale, tra il particolare e l’universale vi è la continuità così come tra la parte e l’intero; la planetarizzazione instaura invece reti di connessioni tra i dissimili, l’idea di una conoscenza universalmente valida che includerebbe tutte le conoscenze particolari come la totalità include le sue parti è diventata totalmente arcaica, del tutto impraticabile al di fuori del fondamentalismo; il rischio e l’incertezza non rimandano più al deficit di informazioni, ma all’intrinseca ed irriducibile complessità della società planetarizzata - ridurre la complessità in un luogo significa sempre aumentarla in un altro.

La “storia mondiale” inventata dall’Illuminismo portava al cosmopolitismo fondato sulla conoscenza della totalità e sui valori universalmente validi, la planetarizzazione porta alla prossimità multipla tra i dissimili che coinvolge tutti nei disastri di tutti. L’incertezza e il rischio venivano considerati nella società cosmopolita come difetti, dovuti alla conoscenza ancora insufficiente delle leggi dell’intero, della totalità; nella società planetaria vi sono solo diversi rischi, diversi gradi di incertezza, diversi idiomi, diverse relazioni tra le parti, diversi luoghi e i collegamenti tra di essi, non una conoscenza della relazione tra le parti e l’intero, tra gli idiomi e la lingua universale, tra le leggi particolari e una legge universale. Ogni spiegazione che illumina qualcosa distorce ed oscura qualche altra cosa, ogni nostra definizione della realtà ne sottace e maschera altre definizioni possibili. La questione non è mai solo “chi sta dietro alle cose che vediamo, chi determina il modo come le vediamo” ma anche: “chi sta dietro alle cose che non vediamo, chi determina il modo come non le vediamo, chi è il padrone di questo non-visto, a chi servono le cose che noi non vediamo.

La biosolidarietà attualizza o fa riscoprire l'animismo, il totemismo, il body-piercing, le religioni orientali, il Buddhismo, il pantheismo, le culture non occidentali, più aperte allo spirito della biocomunità del cristianesimo, rende arcaico la differenza tra i selvaggi e i civilizzati e minaccia di invertirsi in politiche di ispirazione antiumanistica.

L'inversione della planetarizzazione, della distanza planetaria verso la storia umana, è l'antiumanismo implicito in un "nuovo nomos della Terra" che legittimerebbe come “necessarie” limitazioni radicali delle libertà individuali. Sono veramente antropogeni i cambiamenti climatici? Dove comincia e dove finisce il mio diritto di vivere, se tutto ciò che faccio danneggia gli altri esseri viventi sulla Terra?

Il processo di planetarizzazione delegittima radicalmente le egemonie e i blocchi storici della “prima modernità industriale” in quanto impone una ridefinizione del quadro politico di tutta la civiltà industriale nel nome della biosolidarietà. Si tratta di una nuova profezia normativa nel senso di Max Weber: la biosolidarietà non è comunque compatibile con le narrazioni innestate sull’albero dell’antropocentrismo cristiano, secondo cui alla specie homo sapiens sapiens un dio trascendente ha assegnato un compito particolare sulla Terra, in virtù del quale gli sarebbe stata donata un’essenza che lo renderebbe “diverso” da tutti gli altri esseri viventi sul pianeta Terra.

Il sillogismo su cui si fonda il "logos" occidentale, e da cui dipende il dominio tecno-scientifico sulla natura, si chiama "Barbara" e suona così: gli uomini muoiono / Socrate è un uomo / Socrate muore. In un suo celebre discorso G. Bateson (1988), l’autore dell’influente libro “Steps Toward an Ecology of the Mind”, vi contrappone un altro sillogismo che chiama "sillogismo in erba". Esso suona: L'erba muore / gli uomini muoiono/ gli uomini sono erba.

Il “bios” vincola infatti l'uomo alla totalità del vivente, per cui la morte dell'erba è anche la sua morte. Il sillogismo in erba esprime l’imperativo categorico postmoderno: la morte che ci unisce all'erba, ci richiama alla responsabilità davanti al destino comune del vivente, al dovere di fondare il nostro agire sul rispetto di questo destino comune. Questo imperativo ci fa sentire come moralmente inaccettabili le tecniche di allevamento (diversi uovifici o macelli industriali) che umiliano la vita in sé. La differenza tra l'uomo e il pollo non è mai così grande da giustificare quella totale indifferenza verso la sofferenza e l'umiliazione della "vita negli esseri non umani" che queste tecniche di allevamento incorporano come normale. Questo è il nuovo fondamento della politica nel Terzo Millennio.

Per la prima volta nella storia dell’umanità, il demos del pianeta Terra è chiamato a decidere sul bios, sulla propria costituzione biologica collettiva. La possibilità di “manipolare geneticamente gli esseri viventi nella loro totalità” obbliga questo demos della Terra di darsi una Costituzione che includerà esplicitamente l’informazione genetica tra i diritti umani. E il verbo “includere” non indica qui una generica volontà politica di difendere la natura; si riferisce alla necessità di inserire nella Costituzione una formula scientifica che specifica i geni protetti.

La planetarizzazione politicizzata

Gadamer ha risposto una volta alla domanda di un giornalista che gli chiedeva “quale è il compito più urgente della nostra epoca” in questo modo: quello di ricollegare il mondo di oggetti che la tecno-scienza ha messo a nostra disposizione e rimesso alla nostra volontà "agli ordinamenti fondamentali del nostro essere, non arbitrari e non più da produrre per iniziativa nostra, bensì da rispettare".

La parola “biosolidarietà” riassume, nella società complessa di oggi, questo insieme di ordinamenti da rispettare: il potere che deriva all’uomo dal logos (scienza), minaccia il bios (natura), cui il demos (popoli definiti politicamente come cittadini di diversi stati) appartengono in un senso radicalmente vincolante. Bisogna politicizzarla perché essa è il nucleo della globalizzazione, ma totalmente spoliticizzato dalla società dello spettacolo in cui la politica è imprigionata.

Il concetto di spoliticizzazione/politicizzazione prendo in prestito da Slavoj Zizek (2003, 23-29). Egli definisce il nucleo di un “evento politico” (la foto della Terra scattata nello spazio cosmico questa volta) come pretesa di una parte della società di rappresentare il Tutto, ovvero tutta la società; questa aspirazione a “caricare” la propria condizione sociale di un significato universale, questa pretesa di rappresentare il Tutto, è contenuta nella parola “demos” – il popolo”. Il grido “noi siamo il popolo” significa “noi rappresentiamo la società, non coloro che vi sono preposti dall’ordine poliziesco-istituzionale” – la nostra voce è la voce della società intera, della vera universalità nazionale o addirittura “umana”!

La politica “implica sempre un cortocircuito tra “l’Universale e il Particolare”, un singolare “che appare come rappresentante dell’Universale” destabilizzando l’ordine istituzionale legittimato dalla vecchia egemonia. L’ identificazione “della parte con il Tutto, della parte della società che non accetta il posto subordinato che le è stato assegnato con l’Universale, è il gesto elementare della politicizzazione che possiamo scorgere in ogni grande evento democratico, dalla Rivoluzione francese (nella quale il Terzo Stato si proclamò identico alla nazione in quanto tale contro l’aristocrazia e il clero), allo spodestamento dell’ex-socialismo europeo (nel quale ogni forum della dissidenza si proclamava rappresentante dell’intera società contro la nomenklatura del partito)”- dice Slavoj Žižek. E oggi citiamo Seattle, Porto Alegre ecc.

La politica e democrazia sono sinonimi nel senso che la democrazia è un sistema che incoraggia queste aspirazioni delle “parti subordinate” a pretendere di rappresentare il Tutto, ovvero la società intera; da questo risulta che lo scopo primario di una politica antidemocratica è ed è sempre stato la spoliticizzazione” (cf. 2003, 24 – 25).

Politicizzare la planetarizzazione significa pretendere di fondare sulla biosolidarietà una nuova rappresentazione del Tutto, della società intera. Quali sono le vie alla politicizzazione del nucleo spoliticizzato della globalizzazione si decide in questi primi anni del nuovo Millennio.

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Autor

Bělohradský, Václav

Vaclav Belohradsky (Praga, 14 gennaio